“C’e’ un Babbo Natale?” Il più celebre editoriale nella storia del giornalismo americano

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Nonostante sia passato più di un secolo – per l’esattezza 116 anni – eppure quel “Si, Virginia, Babbo Natale c’è” che era il cuore di uno degli editoriali apparsi sul Sun del 21 settembre 1897 conserva ancora l’immediata freschezza che lo fece da subito apprezzare dai lettori del giornale newyorkese. Sotto il titolo “C’è un Babbo Natale?”, l’editoriale affrontava un quesito che generazioni di genitori hanno affrontato e continueranno ad affrontare con l’insorgere di uno dei primi e più ricorrenti dubbi dell’età infantile. La risposta affermativa così netta e sicuramente impegnativa per un giornale che godeva di una reputazione non inferiore a quella degli altri due maggiori quotidiani cittadini, il New York Time e l’Herald Tribune, si riferiva per l’appunto alla domanda che una bambina di otto anni, Virginia O’Hanlon, aveva rivolto all’editore con una lettera che così diceva:

“Caro Editore,

ho otto anni.

Alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste.

Papà dice “Se lo si vede sul Sun allora c’è”.

Per favore dimmi la verità: c’è un Babbo Natale?”.

La piccola Virginia

L’editoriale comparve non firmato, in ossequio alla politica perseguita dal giornale che conservava l’anonimato dei propri editorialisti. Solo anni dopo la morte dell’estensore, stante il perdurante interesse dei lettori che col passare del tempo lungi dal venir meno andava sempre più crescendo, il Sun si decise a renderne noto il nome. Si trattava del giornalista Francis Pharcellus Church (22 febbraio 1839 – 11 aprile 1906), che in passato era stato corrispondente di guerra durante la Guerra Civile americana e col tempo si era specializzato in questioni religiose e controverse. Non ebbe figli e tuttavia quel suo breve editoriale, come ha scritto W. Joseph Campbell, docente alla School of Communication dell’American University di Washington, suona come un inno senza tempo all’infanzia e allo spirito natalizio. E questo, come si sa, suscita nei bambini l’innocente fiducia di chi crede in qualcosa di buono e lieto che sta per avvenire, mentre nei grandi riaccende il ricordo nostalgico di quando anch’essi appartenevano alla schiera spensierata dei piccoli credenti.

L’articolo di Church non solo spazzava ogni dubbio sull’esistenza di Babbo Natale, ma forniva con uno stile piano e coinvolgente anche una garbata linea argomentativa in suo favore. Innanzitutto rassicurava la piccola Virginia sul fatto che i suoi amici erano in torto perché afflitti dallo scetticismo di un’epoca scettica. “Essi non credono se non vedono”. Invitava perciò a riflettere su alcune realtà, come l’amore, la generosità e, perché no, la stessa devozione, che pur non potendosi vedere sono tra le più importanti nella vita di ciascuno di noi. Perciò non riuscire a vedere Babbo Natale, non significa che non esiste un Babbo Natale e che non conti per noi. “Le cose più reali del mondo – scriveva l’allora anonimo estensore dell’editoriale – sono quelle che né i bambini né gli uomini possono vedere.”

In un saggio del già citato Campbell apparso sull’American Journalism del 2005, consultabile in rete nel sito dell’autore (http://academic2.american.edu/~wjc/santa.htm), è ricostruita l’intera fortunata vicenda, dalle origini fino ai giorni nostri, che reso l’editoriale di Church il più celebre e ristampato editoriale nella storia del giornalismo americano. Possiamo così farci un’idea della piccola Virginia trepidante nell’attesa tre di una risposta alla sua lettera spedita nel mese luglio e che sembrava non dover mai arrivare. E possiamo anche immaginare quale e quanta gioia mista a meraviglia dovesse poi provare quando sul finire di settembre vide che il quesito da lei posto era stato collocato non tra le lettere dei lettori ma niente meno che nelle pagine riservate agli editoriali. Quel “Sì, Virginia…” liberava il suo animo dal dubbio e l’avrebbe accompagnata per sempre, dandole forza e fede nelle prove della vita, come lei stessa divenuta adulta avrebbe poi confidato in più occasioni.

Va però sfatata come un mito, l’idea che l’editoriale incontrasse da subito quella notorietà che solo col tempo trascorrere avrebbe guadagnato presso il grande pubblico americano, tanto da essere fatto oggetto, caso più unico che raro, di una cantata musicale la cui prima esecuzione nel 1932 fu curata dalla NBC. E se ciò non bastasse a rendere la misura della notorietà del tutto eccezionale raggiunta dall’editoriale, in questa succinta rievocazione basterà ricordare che fu il tema di un cartone animato e di alcuni documentari e film per la TV.

La lettera di Virginia restò negletta in redazione per non meno di due mesi. Quando fu passata a Church per una risposta, questi sbrigò l’incarico nel corso di un’ordinaria giornata di lavoro e il Sun gli riservò solo il settimo posto tra gli editoriali apparsi il giorno successivo. Inoltre, forse anche per la sua intempestività rispetto alle festività natalizie, non diede luogo ad alcun segno reazione da parte della stampa, nonostante la vivace rivalità esistente tra i quotidiani cittadini di quel tempo. Se l’editoriale non cadde nell’oblio, si deve unicamente alle insistenze dei lettori, perché da parte sua il Sun era riluttante a riciclare i propri pezzi già stampati in precedenza. Inoltre, aggiunge Campbell, anche lo stesso Church condivideva l’orientamento del giornale a non trasformare in stelle i propri editorialisti.

Negli anni Venti la pressione esercitata dal pubblico del Sun era giunta a un punto tale da indurre il giornale a mutare atteggiamento. E così il 23 o il 24 di dicembre, anno dopo anno, l’editoriale di Francis P. Church “C’è un Babbo Natale?” riapparve sulle colonne del giornale fino al Natale del 1949, che fu anche l’ultimo vissuto dal Sun prima che cessasse nel corso del 1950 le sue pubblicazioni. Nel frattempo, però, come già si è avuto modo di accennare, altri media più potenti erano subentrati nel diffondere e corroborare la notorietà di una bambina, di un navigato giornalista e di un limpido “Sì, Virginia, …”.

 

Patrizia Floris