Tre Paesi : Cuba, Cina e Ghana raccontate attraverso le foto

immagine“I nomi dei paesi sono all’origine di una eccitazione della fantasia e della memoria; evocano immagini interiori che a volte fanno viaggiare la nostra mente ancora prima di essere partiti” afferma Marcel Proust. 

Nel corso dei secoli, ogni cultura ha sviluppato un immaginario stereotipato nei confronti del vicino e anche noi europei abbiamo creato il nostro sui paesi extraeuropei.

La mostra fotografica “Tre paesi” mostra la visione e la poetica differente di 3 fotografi in viaggio a Cuba, in Cina e in Ghana. Inaugurazione 1 Febbraio ore 18,30 al Lazzaretto di Cagliari. 

Nelle fotografie di  Alessandra Spano, Erik Chevalier, Luca De Melis  “l’altro” non è fenomeno o apparizione ma diventa parte integrante di una visione unica dell’esistenza legata alla Fotografia, si assottiglia il rapporto tra il fotografo e lo spettatore e si supera l’aspetto voyeuristico dell’immagine tipica del viaggio.

 

Le fotografie di paesaggio di Alessandra Spano accolgono la vastità degli spazi del Ghana e ci invitano ad abbracciare il tutto. L’occhio si restringe invece sulla figura umana, creando delle immagini apparentemente monche, uniformando il corpo e l’intorno. In questo modo si ribaltano la lettura e le priorità a cui siamo normalmente abituati e, nei soggetti in cui non vediamo il viso, i corpi assumono un’espressività intensa quanto quella di uno sguardo. Nelle immagini frontali si mantiene la stessa estetica: ogni elemento è soggetto di un ritratto e vi ritroviamo sullo stesso piano la natura, l’architettura, l’essere umano, gli animali e la parola.

Luca De Melis aspetta il momento ideale per fermare il tempo. Gli splendidi paesaggi delle regioni di Shanghai, Jiangsu, Anhui e Zhejiang, ricordano alcuni tratti tipici del Pittorialismo, i suoi riflessi, la leggera nebbia, i contorni morbidi e sfumati; a questi si alterna una visione geometrica dei territori, in cui la sagoma dell’uomo determina il punto di vista, creando dei giochi prospettici in relazione all’architettura. Questa scelta formale non ha soltanto una valenza estetica e per quanto possa sembrare di un ardito gusto retrò, simbolicamente assume un valore sovversivo, poiché ci allontana finalmente dalla Cina produttiva, dal pericolo di virus, dall’inquinamento e ritroviamo il sogno e la bellezza delle regioni più antiche di questo paese, così magicamente descritte nelle poesie di Ai Qing. Ci penseranno i ritratti frontali a risvegliarci; non saremo più soltanto noi ad osservare ma idealmente saremo chiamati a uno scambio diretto con il soggetto che ci guarda.

Erik Chevalier vaga per la vie dell’Havana e dei dintorni con un atteggiamento apparentemente distratto ma molto perspicace, tipico del flâneur, e con un sentimento Kafkiano si sente “[…] libero, come ci si sente solo quando si è lontani da casa, […] si tiene per sé tutto ciò che ci riguarda, e si discorre degli affari altrui con indifferenza, fingendoli importanti, ma lasciandoli cadere quando ci garba”3. Guarda la città in un modo insolito e al tempo stesso familiare, come se la cogliesse al risveglio di una giornata qualunque. A volte le foto destabilizzano per un voluto fuoricampo, come quando ci cade l’occhio su qualcosa di insignificante sul quale ritorniamo, perché in realtà è colmo di identità più di qualunque monumento. Non senza ironia le didascalie delle foto sono prese dall’Album de la Revolucion Cubana 1952-1959, il testo vive di vita propria, sembra una voce a una dimensione come una litania perpetua, molto simile al verbo di qualunque governo che spesso non ha nulla a che vedere con il trascorrere quotidiano dell’esistenza del popolo.

Per dirla con le parole di Barthes, in un primo momento, per sorprendere, la Fotografia fotografa il notevole; ben presto però, attraverso un ben noto capovolgimento, essa decreta notevole ciò che fotografa. Il “qualunque cosa” diventa allora il massimo sofisticato del valore.