La “Femme Fatal”
Greta Lovisa Gustafsson, vero nome di Greta Garbo, nasce il 18 settembre 1905 a Stoccolma. Timida e schiva, predilige la solitudine e, benché integrata e piena di amici, preferisce fantasticare con la mente, tanto che alcuni giurano averla sentita affermare, già in tenera età, che fantasticare fosse “molto più importante che giocare“. Lei stessa in seguitò affermerà: “Un momento ero felice e l’attimo dopo molto depressa; non ricordo di essere stata davvero bambina come molti miei altri coetanei. Ma il gioco preferito era fare teatro: recitare, organizzare spettacoli nella cucina di casa, truccarsi, mettersi addosso abiti vecchi o stracci e immaginare drammi e commedie“.
A quattordici anni la piccola Greta è costretta ad abbandonare la scuola per via di una grave malattia contratta dal padre. Nel 1920, poco prima della morte del genitore, Greta lo accompagna in ospedale per un ricovero. Qui è costretta a sottostare ad una serie estenuante di domande e di controlli, volti ad accertare che la famiglia fosse in grado di pagare la degenza. Un episodio che fa scattare in lei la molla dell’ambizione. In una chiacchierata col commediografo S. N. Bherman, infatti, confesserà: “Da quel momento decisi che dovevo guadagnare tanti soldi da non dover mai più essere sottoposta a una umiliazione simile“.
Dopo il decesso del padre, si ritrova in ristrettezze economiche non indifferenti. Pur di tirare a campare fa un po’ di tutto, accettando quello che capita. Lavora in un negozio di barbiere, mansione tipicamente maschile, ma resiste poco. Abbandonato il negozio trova un impiego come commessa ai grandi magazzini “PUB” di Stoccolma dove, è proprio il caso di dirlo, il Destino era in agguato.
Nell’estate del 1922 il regista Erik Petschler entra nel reparto di modisteria per acquistare cappelli per il suo prossimo film. E’ la stessa Greta a servirlo. Grazie ai modi gentili e disponibili della Garbo, i due entrano subito in sintonia e diventando amici. Inutile dire che da subito la Garbo chiede di poter partecipare in qualunque modo ad uno dei film del regista, ricevendone un assenso inaspettato. Domanda così alla direzione dei “PUB” un anticipo di ferie che le viene però negato; decide allora di licenziarsi, pur di seguire il suo sogno.
Il provino riesce, entra nell’Accademia e dopo il primo semestre è scelta per un provino con Mauritz Stiller il più geniale e famoso regista svedese del momento. Notevolmente eccentrico e trasgressivo, Stiller sarà il maestro e il mentore, il vero e proprio pigmalione che lancerà la Garbo, esercitando una profonda influenza e una altrettanto profonda presa emotiva su di lei. La spiegazione risiede anche nella differenza di età, quasi vent’anni. La giovane attrice ha infatti poco più di diciotto anni, mentre Stiller ha superato la quarantina. Fra l’altro, risale a questo periodo il cambiamento di nome dell’attrice che, sotto la spinta sempre di Stiller, abbandona il difficile cognome Lovisa Gustafsson per diventare definitivamente Greta Garbo.
Con il nuovo pseudonimo si presenta a Stoccolma per la prima assoluta di “La Saga di Gosta Berlin”, pièce tratta dal romanzo di Selma Lagendorf, rappresentazione che riscuote un buon apprezzamento da parte del pubblico ma non altrettanto dalla critica. Il solito, vulcanico, Stiller però non si arrende.Decide di farne una prima rappresentazione anche a Berlino dove raccoglie finalmente un consenso unanime.
A Berlino Greta è apprezzata da Pabst che si accinge a girare “La via senza gioia”. Il celebre cineasta le offre una parte, che rappresenta il definitivo salto di qualità: il film diventerà uno dei classici da antologia del cinema e proietta, di fatto, la Garbo verso Hollywood.
Arriva in America e qui si metterà in moto un meccanismo perverso, alimentato soprattutto dai primi film, che tenderà ad etichettarla come “femme fatale” e ad inquadrare la sua personalità in schemi troppo rigidi. Da parte sua l’attrice chiedeva a gran voce ai produttori di essere svincolata da quell’immagine riduttiva, chiedendo ad esempio ruoli da eroina positiva, incontrando rigide e sarcastiche opposizioni da parte dei tycoon hollywoodiani. Questi erano convinti che l’immagine da “brava ragazza” non si addicesse alla Garbo, ma soprattutto non si addicesse al botteghino (un’eroina positiva, stando alle loro opinioni, non avrebbe attirato il pubblico).
Dal 1927 al 1937, dunque, la Garbo interpreta una ventina di film in cui rappresenta una seduttrice destinata a una fine tragica: spia russa, doppiogiochista e assassina in “La donna misteriosa”, aristocratica, viziata ammaliatrice che finisce per uccidersi in “Destino”, donna irresistibile e moglie infedele in “Orchidea selvaggia”, o “Il Bacio”. Ancora, prostituta in “Anne Christie” ed etèra di lusso in “Cortigiana” e “Camille” (in cui interpreta il celebre e fatale personaggio di Margherita Gauthier). Finisce suicida in “Anna Karenina“, fucilata come pericolosa spia e traditrice in “Mata Hari“. Sono ruoli di seduttrice fatale, misteriosa, altera e irraggiungibile, e contribuiscono in modo determinante a creare il mito della “Divina”.
Ad ogni modo, la creazione della sua leggenda si è plasmata anche grazie ad alcuni atteggiamenti tenuti dall’attrice stessa ed assecondati, se non alimentati, dal mentore Stiller. Il set, ad esempio, era estremamente protetto, inaccessibile per chiunque (con la scusa di difendersi da voyeurismi e pettegolezzi), tranne che per l’operatore e gli attori che dovevano partecipare alla scena. Stiller arrivava al punto di recintare il set con una tenda scura.Queste misure di protezione saranno poi sempre mantenute e pretese dalla Garbo. I registi, poi, in genere preferivano lavorare davanti alla macchina da presa e non dietro, ma la Garbo esigeva che stessero nascosti dietro la cinepresa.
Nei luoghi di ripresa non erano ammessi neppure grandi nomi dell’epoca o i capi della produzione. Inoltre, appena si accorgeva che qualche estraneo la guardava smetteva di recitare e si rifugiava nel camerino. Di certo non sopportava lo “Star System”, a cui non si sarebbe mai piegata. Detestava la pubblicità, odiava le interviste e non sopportava la vita mondana. In altre parole, seppe proteggere con caparbietà la sua vita privata fino alla fine. Proprio la sua riservatezza, quel qualcosa di misterioso che la circondava e la sua bellezza senza tempo, fecero nascere la leggenda Garbo.
Il 6 ottobre 1927 al Winter Garden Theatre a New York il cinema, che fino a quel momento era stato muto, introduce il sonoro. Il film che si proietta quella sera è “Il cantante di jazz”. I soliti profeti di sventura profetizzano che il sonoro non durerà, e tanto meno la Garbo. Dopo l’avvento del sonoro la Garbo interpreterà ancora sette film muti, perché il direttore della Metro era un conservatore ostile all’introduzione delle nuove tecnologie, e quindi ostile anche al sonoro.
La “Divina” tuttavia si ostina ugualmente a studiare l’inglese e a migliorare il suo accento, nonché ad arricchire il suo vocabolario. Eccola infine comparire in “Anna Cristie” (da un dramma di O’Neill), del 1929, il suo primo film sonoro; si racconta che quando nella famosa scena, Greta/Anna entra nello squallido bar del porto, stanca e sorreggendo una sgangherata valigia, pronunciando la storica frase “…Jimmy, un whisky con ginger-ale a parte. E non fare l’avaro, baby…“, tutti trattennero il respiro, compresi elettricisti e macchinisti, tale era il seducente alone di mistero che ammantava la “Divina”.Vissuta sino a quel momento nel più assoluto riserbo e nella più totale distanza dal mondo, Greta Garbo muore a New York, il 15 aprile 1990, all’età di 85 anni.