“La Felicità”a cura della dott.ssa Antonietta Serra

Cari lettrici-lettori di Rivista Donna, vi do il benvenuto in questa rubrica che, come si evince dal titolo, affronterà un tema che coinvolge profondamente noi tutti: come costruire e mantenere uno stato di benessere nella nostra vita. Un argomento difficile, spesso controverso, che richiede a monte tanta conoscenza, un gran desiderio di cambiamento e una forte passione. Passo dopo passo, proporrò contenuti, esperienze, ricerche, riflessioni, indicazioni e strumenti in un viaggio in cui le vostre domande e/o l’apporto del vostro vissuto personale sarà fondamentale. Nel navigare insieme verso una meta desiderata, vi ringrazio e vi auguro Buon Viaggio.

Rubrica a cura della Dott.ssa Antonietta Serra.

Operatrice del benessere, pedagogista, istruttrice accreditata A.S.I. di Tai Ji Quan “la Perla della Vera Sintesi” e Qi Gong dell’Anidra Academy, Personal Trainer Tai Ji Quan e Qi Gong.

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                                                                                                                          “la Felicità”

 Felicità è tenersi per mano andare lontano ..la felicità ..è il tuo sguardo innocente in mezzo alla gente..la Felicità…

Poche parole tratte da una famosissima canzone del 1981.

Che cosa provate ancora oggi mentre la sentite? Ho voluto iniziare questo percorso con un argomento che concentra in due parole quella che è la ricerca costante e la meta agognata della nostra esistenza: “la Felicità”

La ricerca della Felicità ovvero il rifiuto della Felicità Aristotele afferma: “l’agire umano ha come fine il Bene Sommo”. Lo stesso filosofo nota, poi, come per la maggior parte degli uomini il bene sommo sia la felicità.

In tutta la nostra vita noi siamo costantemente alla ricerca di qualcosa che possa farci star bene, che ci faccia sentire vivi, appagati, sereni, che possa, insomma, renderci Felici. Eppure, se noi dovessimo definire in che cosa consista questo stato d’essere, avremmo difficoltà a dare una definizione. Dentro di noi potrebbero susseguirsi una serie d’immagini, emozioni, sensazioni, situazioni, ma non riusciremmo a tradurle in un unico concetto.

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Detto questo, se non ci è molto chiaro in che cosa consista la felicità e non conosciamo le azioni e le scelte che ci conducono a essa, come potremmo costruirla volontariamente?

E se anche riuscissimo a raggiungerla, come potremmo mantenerla nel tempo sottraendoci alla paura di perderla?

Ovviamente, ognuno di noi ha una sua personale visione della felicità che muta in relazione all’età, al vissuto personale e/o alla situazione del momento.

Per chi non si sente amato/a la felicità sarà data dall’amore di colui/ei che lo rende oggetto esclusivo di questo sentimento; per un uomo adulto che ha perso il suo lavoro o per chi non riesce a averlo, la felicità è “il lavoro” o qualcosa che gli permetta di sopravvivere. Ancora, uno stato perdurante di malessere o una malattia prostrante ci portano a desiderare la guarigione come la felicità agognata.

Quante volte abbiamo sentito o pronunciato queste parole: “Se potessi avere quella macchina, sarei veramente felice!” – “Se potessi avere quella casa…” – “Se quell’uomo mi amasse…” – “Se sono sola, magari è perché sono troppo esigente con me stessa e con gli altri”

E che ci accade nel momento stesso in cui raggiungiamo l’oggetto del nostro sogno?

“Non sono mai stata/o così felice…” – “Si, lo so, questo è l’uomo (donna) giusto per me, non è come quell’altro! “ – “Con questo vestito, sarò veramente desiderabile, lo conquisterò…” – “Con quest auto mi sento veramente io!”

E quanto dura questo stato di gioia e di godimento datoci dal possesso dell’oggetto desiderato?

“Non capisco, dovrei saltare di gioia e invece sento come se mi mancasse qualcosa.” –

“E se non avessi più tutto questo?” – “ Non so, mi sembra che non mi ami più come prima…”

“La felicità non dura in eterno” afferma la saggezza popolare. E noi ci crediamo. In quella parte nascosta a noi stessi, questa voce ha radici profonde: affermiamo di voler essere felici, in realtà non è così. In noi, esseri umani, è presente un modus pensandi perverso di cui non siamo consapevoli, ma che è spesso la causa di molte delusioni.

E, senza volerlo, rifiutiamo di essere i creatori del nostro benessere e demandiamo a altri o a altro la costruzione della nostra felicità.

Diamo a qualcosa o qualcuno al di fuori di noi il potere di renderci felici o infelici: qualcuno che ci desideri, l’attenzione di chi amiamo, un lavoro, una bella casa, una bella macchina, dei buoni amici e quant’altro. Eppure, noi siamo costruiti per essere felici, fa parte del nostro DNA e la felicità rientra nella nostra normalità.

È normale provare piacere mentre si gusta un buon cibo, quando si è in compagnia di amici ed è altrettanto normale provare piacere quando si riesce a essere se stessi. Quando invece ci sentiamo infelici, situazione esperita molto più frequentemente, anziché renderci conto che è una condizione creata da noi stessi per crearci attrito e spingerci a crescere, pensiamo di essere vittime di circostanze sfortunate.

E preferiamo cullarci nel sogno di giorni migliori. Un uomo/donna ci ha deluse/i? – Non era quello/a giusto/a. E tutto il nostro essere si predispone per l’incontro successivo, che sarà senz’altro migliore, per poi ricadere in una successiva delusione. Nel tempo, continuiamo a ripetere lo stesso copione dando sempre la responsabilità della delusione all’altro, al momento non favorevole o alle condizioni avverse.

Resiste la convinzione che la felicità sia una cosa bella che piove dal cielo, per caso: ad alcuni tocca a altri no e cerchiamo di farcene una ragione nel tentativo di accettare quello che viene vissuto come destino ineluttabile.

Certamente, potreste obiettare, nascere ricchi o belli o intelligenti è una chance in più per essere felici, eppure io ho conosciuto persone belle e infelici, modelle bellissime che si vedono brutte, donne bruttine di grande fascino, donne apparentemente insignificanti, sole ma molto felici e ricchi infelici e arrabbiati.

Eppure, invischiati, così come siamo, nella nostra limitata personale visione, tutto questo pare non toccarci: appartiene a un altro mondo. Non abbiamo nessun desiderio di sapere che cosa rende una modella bellissima infelice né la donna insignificante felice. Non siamo interessati a conoscere l’altro e, situazione ancora più assurda, non vogliamo neanche conoscere noi stessi.

Assumersi la responsabilità di ciò che ci accade, che sia felicità o quant’altro, è un atto di crescita difficile, sofferto, ma è l’unico strumento per affacciarci consapevolmente alla vita.

Rimane un’ultima domanda: desideriamo veramente crescere?

Che cosa ci spinge a rifiutare la felicità?

Quali meccanismi ci impediscono di realizzarla?

Possiamo imparare a essere felici?

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Nell’attesa di un nostro prossimo incontro, vorrei invitarvi a riflettere su queste poche righe, a esprimere le vostre opinioni e a condividere le vostre esperienze.

Un pensiero riguardo ““La Felicità”a cura della dott.ssa Antonietta Serra

  • Jero
    13 Febbraio 2015 in 18:33
    Permalink

    Bellissimo articolo!
    “La ricerca delle felicità” è sempre un tema estremamente attuale
    e scottante allo stesso tempo, e qui viene espresso elegantemente
    e con un linguaggio semplice e efficace.
    Io credo che si “possa imparare a essere felici”, anzi si deve!
    Perché noi siamo nati per esserlo…
    Complimenti alla nostra Antonietta. 😉

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