La trasgressione e il risveglio della natura: Dionisio il dio del fuoco e i riti del Carnevale in Sardegna

DIONISO: il dio del fuoco e i riti del Carnevale in Sardegna.

Seconda parte: La trasgressione e il risveglio della natura.

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Coro di giovani con maschere dinanzi ad altare con immagine di Dioniso (480 a.C. circa) – Maschere Dionisiache.

 

Nella prima parte di questo nostro viaggio vi ho condotto alla conoscenza di Dioniso, Dio che rappresenta simbolicamente il superamento degli schemi e il ritorno alla nostra parte selvaggia, in perfetta simbiosi con la forza prepotente e trascinante della natura. Ciò che non poteva essere espresso nella vita quotidiana veniva accettato in un particolare periodo dellʼanno “il Carnevale” in cui attraverso la Maschera si diventava “altri da sé”. Nel Carnevale, il cui termine significa “togliere la carne” e nel sardo “Carrasegare”, ossia tagliare la carne, si rinnova il rito arcaico e simbolico del mettere la maschera per togliere la propria maschera, dellʼindossare quindi i nostri veri abiti mentali e inconsci. Questa particolare festività, condita da abbondanti libagioni, balli e divertimenti, viene rallegrata da una moltitudine di stelle filanti e coriandoli multicolori, rappresentanti simbolicamente i pezzi frantumati e parcellizzati di Dioniso nella sua terza morte, i quali successivamente ricomposti, diedero origine alla natura divina del dio. La ritualità del lancio di questi minutissimi e coloratissimi pezzetti di carta e la gioia che ne consegue, rinnova in ogni essere vivente, anche se inconsciamente, il ricordo arcaico che solo la propria morte o, meglio, lʼuccisione di ciò che è fasullo e non in sintonia con la nostra natura più intima, può generare il proprio rinnovamento e ripristinare il collegamento con la nostra parte divina.

 

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Baccanali Dionisiaci. Opere di William Etty e Aimé-Gabriel Adolphe Bourgoin

 

E proprio a questa natura intima, istintiva e nello stesso tempo divina, che si collegavano le sacerdotesse di Dioniso negli antichi riti dionisiaci. Le Menadi, questo era il loro nome, indossanti, per lʼoccasione, pelli di animali e copricapi con corna di capro, ripercorrevano simbolicamente lo stato selvaggio dellʼessere umano con le sue pulsioni e i suoi desideri animali. Lʼaccesso a questo stato era favorito dallʼassunzione di una particolare bevanda aromatizzata con bacche dʼedera macerate nel vino (in vino veritas”: nel vino è la verità). La pozione allentava i freni inibitori, e rendeva più agevole il contatto con la parte più inconscia. Il rito, nel suo manifestarsi, aveva e ha, ancora oggi, un forte valore simbolico: il contatto con la parte più nascosta della propria natura produce una profonda purificazione. Solo con la sperimentazione, la conoscenza e la successiva accettazione del proprio aspetto animale, lʼuomo è in grado di affrancarsi dalle proprie catene e cominciare un percorso per accedere a livelli superiori e più elevati di consapevolezza. In seguito, con la degenerazioni dei costumi, in particolare con la cultura “pagana” tardo romana, Dioniso diventa Bacco (da Jacco o Bákchos, come veniva denominato anticamente), il dio del vino, delle grandi libagioni, del divertimento e delle sfrenatezze sessuali e orgiastiche legate al piacere fisico e aleatorio.

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Maschere tipiche sarde: Boes e Merdules di Ottana. (Photo © Piero Putzu)

 

Ciò che era consentito nei riti dionisiaci solo per alcuni seguaci e, successivamente, in epoca romana nei Baccanali, a cui era ammessa anche la partecipazione popolare, costituiva un momento fondamentale di allentamento dei vincoli e delle regole sociali favorite dal potere politico e dalla religione pagana. Il passaggio a una società più restrittiva determinò la scomparsa di molte cerimonie e culti pagani che sopravvissero in ambiti più ristretti o in luoghi più lontani dai centri del potere politico. Col tempo, i vari riti finalizzati allʼespressione di una maggiore liceità dei costumi subirono delle trasformazioni: le espressioni rituali, più contenute e meno manifeste, penetrarono lentamente nel vissuto sociale fino a diventare parte integrante delle festività popolari. E fu così che quella ritualità fortemente liberatoria che segnava il passaggio dalla fredda stagione invernale al risveglio prepotente della natura divenne il “Carnevale”. Non è difficile individuare questa trasgressione delle regole nelle diverse manifestazioni carnevalesche, ma è soprattutto in Sardegna e nei paesi dellʼinterno che la componente dionisiaca emerge in modo prepotente. Il suo isolamento, il forte legame con la terra, la sua impenetrabilità hanno fatto sì che rimanesse intatto lʼaspetto primitivo della ritualità animale. Ed è questa animalità, questa primitività che noi sentiamo quando assistiamo al passaggio dei “Mamuthones” di Mamoiada, dei “Boes e Merdules” di Ottana, dei “Mamutzones e SʼUrtzu” di Samugheo, solo per citarne alcuni. Non ne siamo consapevoli, ma la nostra parte più antica entra in sintonia con loro ed è questo il motivo per cui anche coloro che non appartenendo alla cultura isolana, che non comprendono la nostra lingua e i nostri costumi, ne rimangono soggiogati. Lʼestasi e gli stati euforici che pervadono i partecipanti ricoperti di pelli scure di animali, con indosso grandi e pesantissimi campanacci e maschere cornute e di varia forgia, infondono in loro e in chi li osserva una forza bestiale e un desiderio di varcare i confini del mondo civilizzato per immergersi nella selvaggia naturalità.

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Testo: Maschere tipiche sarde: Mamutzones di Samugheo (Photo © Piero Putzu)

 

 

Essi danzano e saltano apparentemente in modo caotico e frenetico, ma, in ciò che non ci è dato da vedere, seguono cadenze e ritmi precisi e ordinati, così come il ritmo della vita.
Sʼinnalzano verso il cielo e ricadono rumorosamente al suolo, scossi e rivitalizzati dal suono di arcaici strumenti musicali: tamburi, triangoli, launeddas e pippiolus. Suoni archetipici, da sempre utilizzati durante le danze estatiche, capaci di produrre una sorta di “droga sonora” atta a indurre automaticamente stati di trance. Ciò che noi vediamo rimanda a una sorta di beneaugurante “atto psicomagico” che aveva il potere di auspicare la fertilità e permettere la crescita delle messi stimolando magicamente la fecondità della terra (il salire verso lʼalto) fino alla maturazione e al tanto agognato raccolto.

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Maschere tipiche sarde: Sartiglianti e “su Componidori”. ( Photo © Piero Putzu)

 

Nè questo deve meravigliarci. Il richiamo alla fecondità della terra è una costante nelle tradizionali manifestazioni carnevalesche della Sardegna così come la natura androgina di molte maschere che ne fanno parte. E sempre più evidente emerge il legame con Dioniso, divinità androgina che assume in sé la duplice natura maschile e femminile. Nelle “Dionisie” i grandi culti primaverili che si svolgevano tra marzo e aprile, era usanza, come rito di purificazione, cospargere il corpo dell’iniziato con argilla e farina, il cui valore simbolico è forse da rintracciare nella purezza del colore bianco. Nel tempo, il rito si modificò e i partecipanti alle Dionisie usavano dipingersi di bianco solo il viso quasi a simboleggiare una natura né maschile né femminile, ma unione di entrambi così come due amanti che nellʼestasi dʼamore perdono la loro natura distinta per fondersi in un unico essere e assurgere così alla purezza iniziale in cui tutto è uno. Ed ecco, nel rumoreggiante avanzare dei Mamutones di Mamoiada e nella frizzante e baldanzosa espressione della Sartiglia di Oristano, emerge il bianco delle maschere degli Issocadores e dei sartiglianti del carnevale oristanese. Il rito di Dioniso ha assunto una nuova veste, ma non ha perso il suo mistero e il suo significato per occhi che sanno guardare.

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Maschere tipiche sarde: Issocadores e Mamuthones di Mamoiada. (Photo © Piero Putzu)

 

Gli Issocadores, che accompagnano i Mamutones, spiccano particolarmente per la loro casacca “rosso abbagliante” (con una teoria di piccole campane su banda di cuoio messa a tracolla e in mano un lungo lazzo di corda intrecciata), la maschera completamente bianca e uno scialle in vita. La duplice natura maschile e femminile è evidente. Il rosso ricorda la passione sfrenata e animalesca rintracciabile in molti riti dionisiaci, sfumato e ammorbidito dalla natura femminile rappresentata dallo scialle. La maschera, dietro la quale si cela il volto, nasconde le fattezze del viso che potrebbe appartenere sia a un uomo che a una donna. La stessa affascinante ambivalenza è ugualmente evidente nei partecipanti alla tradizionale “corsa alla stella” della Sartiglia di Oristano. Tutti i sartiglianti indossano una maschera bianca, ma è soprattutto il capo-corsa “Su Componidori” la figura più misteriosa e suggestiva. In questa figura, i due principi, maschile e femminile, creano un tuttʼuno. Il suo abito è indubbiamente maschile e di pregiata fattura, ma sul suo capo, al di sotto del cappello a cilindro, un candido velo bianco incornicia il viso ricoperto da una maschera bianca. La vera purezza sta nel superamento degli opposti e nella fusione di entrambi in un unico essere. E grazie a questa fusione che si ripete il miracolo della vita che si esprime in primavera nel suo massimo fulgore. Una fusione che viene simbolicamente manifestata dalla corsa alla stella, in cui il cavaliere deve infilzare una stella sospesa a un filo posto a una certa altezza dal suolo. E dal numero delle stelle prese dai “sartiglianti” e soprattuttoda “su componidori”, si ricavano buoni auspici per lʼanno seguente, ma per chi ancora ha fede è augurio di un buon raccolto.

7-Il ballo tondo sardo
Scene da un ballo tondo sardo (Photo © Piero Putzu) foto de Su Componidore

 

Nel carnevale quindi, potentemente intriso di elementi dionisiaci, il mondo umano, ordinato e quotidiano, conosciuto e rassicurante, viene trasfigurato per diventare un mondo diverso, fatto di accadimenti fantastici che sorgono da unʼaltra dimensione della vita e che si possono ottenere anche attraverso ritmi, danze, agitazione e scuotimenti frenetici della testa e del corpo, che a volte e nei casi più accesi fanno perdere i sensi. Queste tecniche, derivate sicuramente da antiche cerimonie sciamaniche, stanno sempre lì a dimostrare che dentro ognuno di noi esiste, e sempre esisterà, un desiderio incontrollabile di accedere ad altri piani di visione per trascendere i limiti ordinari della vita. Dioniso è quindi colui che può “sciogliere lʼuomo dai vincoli dellʼidentità personale” nel frenetico flusso della realtà smisurata che tutto pervade. Attende con la sua silenziosa e invisibile presenza la nostra riconciliazione con la natura e la manifestazione delle prorompenti e indistruttibili forze vitali che tendono verso uno stato superiore di armonia universale.

 

8-La festa - Peter Paul Rubens
La festa – Peter Paul Rubens

 

A cura di Piero Putzu

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