Adriana Pannitteri, il giornalismo e il suo ultimo libro

 

 

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Adriana Pannitteri giornalista del TG1 Rai per il quale ha seguito da inviato molti casi di cronaca. Ha lavorato per Rai Uno nella rubrica “Italia sera”. Dal 2001 conduce i tg del mattino e nel 2010 ha condotto la trasmissione “Uno Mattina Estate”. Dal 2009 al 2012 ha curato e condotto la rubrica del Tg1 “L’Intervista”, programma in cui ha incontrato personaggi della cultura e dello spettacolo. Ha frequentato i corsi della scuola di Perugia Rai per radiotelecronista e lavorato presso L’Ufficio Stampa del Campidoglio. Ha diretto il mensile “Esserci”. Laureata in scienze politiche con indirizzo politico-internazionale ha scritto diversi libri: “Madri assassine, diario da Castiglione delle Stiviere”, Alberto Gaffi editore 2006; “Vite sospese, eutanasia un diritto?” Aliberti editore 2007; “La vita senza limiti” con Beppino Englaro Rizzoli 2009; “ La pazzia dimenticata, viaggio negli O.P.G.”, edizioni l’Asino d’oro 2013. Con il fotoreporter Giampiero Corelli ha pubblicato “Il vento negli occhi”, storie di donne soldato e “Tempi diversi” ritratti dalla clausura. Il suo ultimo lavoro editoriale l’ha vista impegnata in “La pazzia dimenticata. Viaggio negli ospedali psichiatrici giudiziari” un libro in cui l’autrice ci accompagna all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, rivelando le storie degli internati, il disagio degli operatori e delineando le possibili prospettive con esperti e medici in un confronto serrato sulla cura della malattia mentale.

Rivista Donna l’ha incontrata per voi…

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La pazzia dimenticata. Viaggio negli ospedali psichiatrici giudiziari” edito da “L’asino d’oro”: come è nata l’idea del libro e di cosa tratta?

L’idea parte in realtà da lontano. Nel 2005 mi ero recata per la prima volta nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova per incontrare le madri che uccidono i loro figli. Da quella esperienza sconvolgente nacque il libro “ Madri assassine, diario da Castiglione delle Stiviere” ( Gaffi editore). Già all’epoca pensai che sarebbe stato interessante visitare anche gli altri ospedali psichiatrici giudiziari. Poi, nel 2011, è arrivato il lavoro della Commissione di inchiesta presieduta dal Sen. Marino, che attraverso veri e propri blitz nelle strutture italiane denunciava le condizioni pessime per l’accoglienza dei malati psichiatrici. Ho pensato quindi che era giunto il momento di ripercorrere quelle tappe e ho compiuto il mio viaggio personale da sud a nord per indagare una realtà davvero controversa. E’ stato un lavoro complicato e , devo ammettere, di grande sofferenza personale.

Secondo Lei qual è il ruolo sociale che riveste al giorno d’oggi l’ “insano di mente”?

Credo che il “ruolo sociale” sia molto confuso. “L’insano di mente” viene di solito dimenticato e se ne parla soltanto se non se ne può fare a meno. Inoltre molto spesso si identifica la pazzia con la bizzarria e questo è totalmente scorretto. Insomma c’è un totale fraintendimento della malattia mentale.

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 Una Sua personale definizione di pazzia.

Non credo di poter dare una definizione personale. Posso dire soltanto che ho visto gli effetti della malattia mentale e, vi assicuro, non ha niente a che vedere con la stranezza o, come dicevo prima, con la bizzarria. Il malato mentale perde totalmente il contatto con la realtà o, in altri casi, conserva un contatto con le cose materiali della vita ma smarrisce totalmente l’affettività. Ci possono essere conseguenze catastrofiche. Ho sentito madri raccontare di aver preparato il bagnetto e la colazione ai loro figli per poi ucciderli. Questa apparente freddezza e questa presunta organizzazione lucida di un atto così drammatico non è altro che malattia. Ma è molto difficile comprendere questa dinamica e così’ si preferisce parlare di cattiveria. L’altro atteggiamento assurdo è proclamare a gran voce che tutti abbiamo un lato oscuro. I lati oscuri, ovvero le ombre della nostra personalità, non spingono gli esseri umani a uccidere. Quando accade c’è qualcosa di più profondo che va esplorato.

C’è stata, a Suo avviso, un’evoluzione nel corso del tempo della condizione del malato mentale?

Senz’altro c’è stata un’evoluzione. Nel medioevo non esisteva il concetto di malattia mentale e dunque si parlava di indemoniati o di streghe. Per arrivare ai giorni nostri c’è da considerare tutto il movimento Basagliano che ha combattuto l’emarginazione del malato mentale ritenendolo, giustamente, una persona titolare di diritti. Purtroppo, però, in quella fase ci sono state alcune estremizzazioni e il malato mentale è stato trasformato in un individuo semplicemente “strano” ed espulso dalla società per le sue stravaganze. Le cose non stanno così. Come sostiene Massimo Fagioli, psichiatra, la malattia mentale se diagnosticata deve essere curata e, soprattutto, non è un destino ineluttabile.

 Quali potrebbero essere per Lei gli eventuali sostegni a favore di coloro che, a torto o a ragione, vengono bollati come “pazzi”?

I sostegni, come dicevo prima, sono soprattutto diagnosi e cura. E per cura non si intende la somministrazione massiccia di farmaci o di molecole (terapia che piace molto alle case farmaceutiche!) ma si intende la capacità di instaurare un rapporto profondo tra terapeuta e paziente che porti a un cambiamento profondo. E’ ovvio che questo può comprendere anche l’uso di farmaci soprattutto quando la malattia mentale porta a compiere gesti estremi per se stessi e per gli altri.

Lei ha avuto la possibilità di testare con mano la vera realtà che si vive e che si respira all’interno degli O.P.G. : qual è la situazione che Lei ha potuto riscontrare al loro interno?

Nel visitare gli O.P.G. ho constatato una situazione molto variegata. A Castiglione delle Stiviere ( struttura considerata all’avanguardia anche da molti paesi europei) mi sembrava per esempio che si facesse un buon lavoro con le madri che avevano ucciso i loro figli, sia sul piano della terapia che sul piano del recupero. In altre strutture mi sembrava che la scarsa presenza di personale medico all’altezza della situazione fosse il problema principale. Se – faccio un esempio – in un O.P.G. ci sono 300 pazienti e 3 psichiatri, è ovvio che la cura si limita alla somministrazione di farmaci e così la cronicizzazione è inevitabile..

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Fungono davvero da supporto, secondo Lei, gli O.P.G.?

Ripeto, a me interessa che le persone vengano curate. Gli ospedali psichiatrici giudiziari hanno lavorato in un contesto difficile e con pochi mezzi. Il presidente della Repubblica Napolitano li aveva definiti un orrore, una sorta di ferita al senso di civiltà. E’ un giudizio assolutamente condivisibile. Ma ho constatato che spesso si inorridisce solo per una stanza sporca e non ci si chiede in quale modo quella persona viene curata e se viene curata.

A fine Marzo anche gli ultimi O.P.G. sono stati chiusi: qual è la Sua opinione a riguardo?

Il 31 marzo non sono state sbarrate le porte degli O.P.G. Serviranno diversi mesi per completare il percorso previsto dalla legge. Le persone che hanno commesso reati non potranno più ovviamente essere inviate negli O.P.G. ma soltanto nelle Rems, ovvero in residenze alternative, più piccole e con massimo 20 pazienti. Il problema è che le Rems non sono ancora del tutto funzionanti e alcune Regioni non hanno proprio predisposto i piani per la costruzione. Inoltre una parte consistente di internati verrà affidata ai servizi territoriali che sono già in difficoltà per carenza di mezzi e strutture. E’ dunque una grande scommessa, non priva di rischi e tutti ci auguriamo che non accada quello che si è verificato con la chiusura dei “manicomi civili”. Alcuni chiusero 20 anni dopo e i malati e le loro famiglie vissero in piena emergenza. Non dimentichiamo che le persone ricoverate negli opg hanno commesso reati più o meno gravi e che non possono essere abbandonate. Ci troveremmo dinanzi a una assenza terapeutica molto preoccupante.

Lo scrittore Jean Cocteau in un suo aforisma afferma: “ Il limite estremo della saggezza è ciò che la gente chiama pazzia”. Quanto di vero traspare dalle sue parole? Condivide il suo pensiero?

Non amo gli aforismi. A volte sono fatti proprio per confondere la gente su questioni particolarmente delicate. Credo che ognuno di noi abbia una personalità con percezioni diverse della ragionevolezza e della razionalità e che le stravaganze facciano parte della vita. La malattia mentale è un’altra cosa e, lo ribadisco, può nascondersi anche dietro personalità che sembrano razionali o dietro comportamenti che sembrano socialmente accettabili.

Un sogno nel cassetto che Lei vorrebbe realizzare.

I sogni nel cassetto sono tanti, forse troppi. Scrivere un romanzo, piuttosto che un saggio; condurre una trasmissione di approfondimento sui fatti di cronaca senza indulgere nel grottesco e magari coinvolgendo ospiti nuovi. I salotti televisivi, purtroppo, mi sembrano tutti uguali.

Adam Rizzi