Liliana Dell’Osso: “L’altra Marilyn Psichiatria e Psicoanalisi di un cold case”

 

 

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“L’altra Marilyn Psichiatria e Psicoanalisi di un cold case”, questo è il titolo del libro scritto da Liliana Dell’Osso psichiatra e direttrice della clinica psichiatrica dell’università di Pisa, insieme a Riccardo Dalle Luche, psichiatra e psicoterapeuta.  Il “caso Marilyn” rappresenta un prototipo ideale per interrogarsi sui concetti fondamentali della psichiatria e della psicoanalisi attuali, rivolgendosi anche a un pubblico di non specialisti. La storia dell’attrice, consente di evidenziare la maggior parte delle problematiche di cui si occupa la psichiatria (panico, fobie, disturbi borderline e bipolari, farmacodipendenze, suicidio), e individua alcuni elementi psicopatologici che sono alla base sia del successo di massa, sia delle difficoltà di coniugarlo con un adattamento sociale adeguato.

RivistaDonna ha incontrato Liliana Dell’Osso per voi…

Dottoressa Liliana dell’Osso è autrice del libro “L’altra Marilyn Psichiatria e Psicoanalisi di un cold case.” Come è nata l’idea di questo libro? Più che una biografia si tratta di uno studio scientifico…
Non è tanto un libro su Marilyn, quanto un testo che, partendo dal “caso clinico” Marilyn, tenta di avvicinare il grande pubblico alle questioni essenziali della psichiatria e della psicoterapia di oggi.
All’origine del libro c’è stato un esercizio per i giovani specializzandi di tutta Italia che ogni anno vengono alla riunione a Roma (Campus Angelini) che organizzo ormai da 10 anni. Avevo proposto ai ragazzi, in forma anonima il caso di Marilyn per farli lavorare su un caso complesso, cronico, nel quale a suo tempo sono stati fatti numerosi errori diagnostici e terapeutici. Soprattutto ho intravisto una interpretazione originale, verso cui inizialmente tutti hanno manifestato dissenso, ma in seguito hanno accolto con entusiasmo: il paradosso dell’autismo sottosoglia sotto la maschera della seduzione. Successivamente ne ho parlato per caso, in treno, con un mio collega, Riccardo Dalle Luche. Ne è nata una discussione accorata e, dopo quindici giorni, alla fine, l’ho convinto della mia ipotesi. Quindi è giunta la decisione di scrivere un libro che fosse una sorta di autopsia psichiatrica di Marilyn: forse pochi sanno che l’attrice è stata oggetto della prima autopsia psicologica della storia forense. Innanzitutto abbiamo dovuto acquisire una documentazione clinica completa sul caso, riassumendola come una cartella clinica. Successivamente abbiamo affrontato tutti i punti critici, sia dal punto di vista diagnostico, che farmacologico e tossicologico ed infine psicoterapeutico. Il risultato è questo libro che è sia divulgativo, nel senso che parla a tutti della psichiatria più moderna partendo da un caso noto a tutti, sia scientifico, perché le soluzioni che proponiamo sono scientificamente fondate. Per ovvi motivi, le parti più tecniche, per gli addetti al lavoro, sono state messe nelle appendici, visto che il libro è stato pensato per essere di piacevole lettura per tutti.  Io e Dalle Luche inoltre siamo dei grandi appassionati di cinema e da anni a Pisa organizziamo dei veri e propri corsi di formazione didattica che partono dalla proiezione in sala di film d’autore; eravamo, per così dire, già collaudati.  Marilyn, oltre ad essere un prototipo di un certo tipo di pazienti, le “pazienti borderline”, complesse, gravi, con prolungato decorso di malattia, è anche il prototipo di quei personaggi che, forse proprio in virtù della loro diversità e dei loro stessi disturbi, hanno vite molto travagliate ma, nello stesso tempo, raggiungono le vette della celebrità e, spesso, scompaiono prematuramente – come recita il frammento di Menandro, “muore giovane chi è caro agli dei” – diventando dei miti immortali, pensiamo a Lady Diana, a Michael Jackson, a James Dean.

Quanti passi avanti si sono fatti nel mondo della psichiatria oggi, rispetto ai tempi di Marilyn?

E’ totalmente cambiata! Ovviamente, l’essere umano è sempre lo stesso: di “Marilyn”, ad esempio, ne vediamo moltissime oggi, c’è addirittura chi parla di “società borderline”; anche di medici come Ralph Greenson, l’ultimo degli psicoanalisti dell’attrice, che scrivono libri, articoli per riviste e giornali, appaiono di continuo in TV come esperti, ne esistono moltissimi anche oggi, bravissimi a sedurre il pubblico, applicano spesso pratiche non scientifiche e talora falliscono dal lato terapeutico. E’ enormemente accresciuta la conoscenza del cervello e delle basi neurobiologiche dei disturbi psichici. Siamo sempre più convinti che molti disturbi mentali nascono da alterazioni più o meno pervasive del neurosviluppo, che non va limitato alla vita intrauterina: il cervello muta continuamente fino alla fine dell’adolescenza e mantiene un certo grado di plasticità anche nella vita adulta. Dobbiamo focalizzare le terapie sulle alterazioni neurobiologiche che soggiacciono alle dimensioni sintomatologiche elementari, come l’insonnia, le ruminazioni, le ossessioni, i disturbi del contatto sociale e così via, non su generiche etichette diagnostiche come disturbi d’ansia o bipolari, pure idee platoniche di malattia.

Lei è direttrice della clinica psichiatrica dell’università di Pisa. Nella sua esperienza pensa che questo tipo di problematiche posssano coinvolgere tutti o quasi o solo alcune categorie di persone?

I disturbi mentali si sviluppano sulla base tanto di fattori genetici che dell’impatto degli eventi ambientali. In risposta a stressors ambientali estremi, la probabilità che soggetti con una predisposizione anche molto lieve sviluppino un disturbo è comunque alta. D’altra parte, un individuo con un assetto genetico di alta vulnerabilità può sviluppare disturbi anche in assenza di fattori precipitanti esterni. Come per il diabete di tipo II o l’ipertensione, il cui sviluppo si gioca tanto sulla vulnerabilità individuale quanto sullo stile di vita e sull’alimentazione.

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Dalla paura al panico quando bisogna preoccuparsi?

La paura è un meccanismo fisiologico fondamentale, di grande importanza evolutiva. Un’attivazione ( in particolare dell’amigdala) in risposta a una sagoma potenzialmente minacciosa -immaginiamo un ramo che assomigli a un serpente- è di certo una scelta evolutivamente migliore del sottovalutare il potenziale pericolo nel caso il serpente sia reale. Provare timore di fronte a una bestia feroce che sta per sbranarci è normale ed utile per la nostra sopravvivenza. L’attacco di panico è una condizione diversa, in cui si sperimentano momenti di paura intensa e inaspettata, accompagnati da un corteo di sintomi quali palpitazioni, dispnea, sudorazione o tremore, in assenza di stimoli ambientali di sorta, come può avvenire nel disturbo di panico vero e proprio, oppure in risposta a situazioni specifiche (parlare in pubblico, luoghi chiusi, altezze, davanti a particolari animali) di cui siamo anche consapevoli, almeno in parte, di sovrastimare la reale pericolosità. Allora può accadere che sopravvenga uno stato di ansia anticipatoria e si inizino a evitare le situazioni temute, o semplicemente i luoghi dove non sia possibile trovare aiuto se dovessimo avere un attacco di panico improvviso, e che tutta la nostra vita e le nostre scelte vengano condizionati da questo timore. In questo caso, non si tratta più di paura ed ansia fisiologiche, che ci aiutano a proteggerci dai pericoli ambientali, ma di una vera e propria patologia.

Queste problematiche coinvolgono più le donne o gli uomini?

Normalmente sono le donne ad essere più colpite dai disturbi mentali, in particolare per quanto riguarda i disturbi d’ansia e la depressione, mentre tra gli uomini sono più frequenti l’abuso di alcol e sostanze o le condotte aggressive. Le cause di queste differenze sono molte e complesse: spaziano dal diverso assetto neurobiologico e ormonale, a fattori evolutivi e sociali. E se è vero che, nella nostra società, le donne tendono effettivamente a dover far fronte ad un maggior numero di eventi stressanti, tendono anche a percepirli in modo più negativo di quanto facciano gli uomini, che sono “programmati” per pensare meno e reagire con reazioni di lotta e fuga agli stimoli ambientali (si pensi alla maggior reattività dell’adrenalina e del cortisolo nel sesso maschile), mentre le donne piuttosto per riflettere e cercare di adattarsi modulando le proprie emozioni in risposta a un evento esterno.

Un consiglio per mantenere la salute psico fisica?

Come per la medicina generale, la parola chiave è prevenzione. Se per non andare incontro ad innalzamenti della pressione arteriosa o ad insulinoresistenza è fondamentale regolare l’alimentazione e fare attività fisica, così vanno conosciute le regole che ci aiutano a mantenere un buon equilibrio psicoaffettivo. E’ importante ad esempio rispettare i fisiologici ritmi sonno-veglia, evitare ritmi lavorativi troppo forsennati, un’attività motoria troppo scarsa o troppo intensa, o l’esposizione continua a fattori stressanti ambientali. La cosa più importante di tutte, però, è superare lo stigma di cui purtroppo ancora oggi risentono i disturbi psichiatrici e, quando ci sembra che qualcosa non vada, recarsi da uno specialista. Tutti vanno dal gastroenterologo quando non digeriscono bene, o dal cardiologo per controllare il funzionamento del cuore, anche quando i sintomi esperiti sono lievi. Purtroppo invece i sintomi psichiatrici tendono a venire ignorati o “sopportati” dai pazienti fino a che non arrivano a livelli di gravità che compromettono, poi, anche l’efficacia dei possibili interventi.