Cambiare..cambiare..cambiare. Un racconto di Chiara Pelossi
Cambiare, cambiare, cambiare.
Dimagrire, migliorarsi, prefiggersi degli obbiettivi, in questi giorni i giornali e i social network sono pieni di buoni propositi.
Chissà come mai, con l’avvento del nuovo anno, ci si sente in obbligo di programmarsi l’esistenza, di lasciar morire ciò che si era per vestirsi di qualcuno che ancora non si conosce?
Solitamente mi sento scettica davanti agli slogan, sarà forse perché non ho voglia di impegnarmi in qualcosa che mi occupi più di qualche giorno o forse perché mi sento bene così?
Per dirla tutta, ed essere sincera almeno con me stessa, mi vedo scegliere l’opzione “non ho voglia”.
Nascondermi dietro alla famosa e inflazionata frase “io sono così” mi consola e mi appaga, finché non vedo nel mio interlocutore evidenti moti di fastidio, allora, ma solo allora, mi sorge spontanea una domanda: “sarò nel giusto?”.
Durante un litigio, quando sganci la temuta bomba “io sono così” per tentare di chiudere la discussione e andare avanti con la tua vita, non é simpatico ritrovarsi con un marito che ti fissa con gli occhi da triglia, la bocca mezza aperta e gli occhi increduli in attesa che ti rimangi la parola.
Cosa che ovviamente non faccio mai, perché sarebbe un po’ come ammettere di avere colpa, ammettere di avere un problema. D’accordo, ogni tanto potrei anche “smussare” qualche angolo o dargli ragione, ma non é questo il nocciolo della questione. Se si é andati avanti una vita sempre nello stesso modo, qualcosa di buono ci deve pur essere.
Analizzando la situazione più da vicino dovrei accorgermi però che la vita mi mette davanti alle stesse prove da anni: reattività che combina solo guai, attaccamento che mi fa soffrire e sedentarietà che non mi permette di crescere.
“Che sia ora di darsi una mossa?”, mi chiedo dal divano con il broncio. Per fortuna in casa c’é solo il gatto, che se la dorme della grossa e che, per una scatoletta di quella buona, è disposto ad ascoltare tutte le mie filippiche automotivanti.
Svogliata, ma non disinteressata, accendo il computer e occupo il tempo curiosando nella vita degli altri.
L’amica di lunga data si é appena iscritta a un corso di tai-chi e mi invita a seguirla, mia sorella scrive frasi filosofiche, il vicino di casa interpreta la vita come un monaco: “perdona e sii felice”, e io che faccio? Scaccio la copertina di Linus che mi avvolge calda e sicura, come la quotidianità che vorrei non cambiasse mai, come le sicurezze che credo incrollabili, come la tolleranza che fingo di avere e metto le scarpe. Sarà meglio uscire da questa scomoda bolla di insicurezza che mi si sta creando intorno.
Cammino spedita guardando avanti, non ho voglia di salutare nessuno, neanche il gentile anziano che mi fissa speranzoso di scambiare due parole. Il conosciuto panorama mi sta stretto, i soliti visi anche, che mi sta succedendo? Prendo il cellulare e chiamo mamma, parliamo del più e del meno, la conversazione mi distrae e fa affiorare un sorriso leggero.
Scelgo di andare a fare la spesa, non per reale necessità, ma per svagare la mente e tentare di farla rientrare nelle righe. Pasta, pane, giocattoli e cioccolato riempiono per un breve momento la mia attenzione facendomi sentire nuovamente “centrata” finché una signora, apparentemente innocua, se la prende con la cassiera per non averle consegnato il numero giusto di bollini. dandole dell’incompetente. Qualcosa scatta dentro di me e, scuotendo la testa infastidita da quel comportamento fatto di rigide regole e finte verità, scrivo alla mia amica dicendole di tenermi un posto al corso di tai-chi.
Da qualche parte bisogna pur incominciare, se non voglio ritrovarmi un giorno acida nei confronti della vita e degli altri.