La donna e la droga

donne e drogaSenza tema di smentite si può affermare che, tra tutte, l’esperienza di droga è quella che infallibilmente tradisce. Tradisce chi si avvicina ad essa, al novanta per cento, con curiosità e fiducia nei suoi “doni” per poi, troppo tardi, constatare il suo incatenamento vischioso. Una riflessione che si adatta perfettamente alla realtà maschile e a quella femminile in quanto a meccanismi, dinamiche e conseguenze
negative anche se in riferimento alla seconda, il discorso deve essere circostanziato. Infatti l’osservazione clinica e quella statistica continuano a mostrare un’ immersione femminile nella droga assolutamente inferiore rispetto a quella maschile. E’ vero però che nel tratteggiare, per esempio, la dipendenza dalla droga-
alcol sono necessarie alcune puntualizzazioni che il discorso realistico, quale è questo che ci siamo proposti, richiede. Se la nascita dalla tossicodipendenza da cannabis, eroina, cocaina ecc., così, come oggi la conosciamo, risale alla cultura dell’America degli anni Cinquanta, il consumo di alcol lo si trova nelle più antica tradizione della Sardegna. Luca Pinna,il ben noto studioso e scrittore sardo, ci dà una interpretazione realistica dei meccanismi dell’iniziazione maschile: il ritorno dal lavoro solitario dalla campagna, la bettola accogliente luogo di socializzazione, il giro del bicchiere di vino che doveva chiudersi sempre in parità ossia senza dover restare in debito con nessuno dei presenti. La conclusione: tasso di alcol alto nel sangue, la percezione distorta della realtà, un modo d’essere che nel tempo portava alla dipendenza dal vino consolatorio e compagno di vita. Una dipendenza che, seppure nascosta entro le mura domestiche, ha serpeggiato anche nel mondo femminile sardo con meccanismi diversi: solitudine, la droga- vino a casa, la sottovalutazione della sua pericolosità allorché si scopriva, non osservata, lo stordimento benefico ai propri problemi. Oggi? Esistono ancora le esperienze solitarie, ma la giovane donna, nell’extra domestico non nasconde, per esempio, la predilezione per gli alcolici e superalcolici nel momento della socialità di gruppo. Le conseguenze e l’eventuale dipendenza sono collegabili alla personalità, al fisico, alla situazione culturale-sociale. Spostando il discorso dalla droga-vino alle altre che attualmente sono protagoniste della realtà circostante, la prima osservazione è che nonostante la partecipazione e il rischio collettivo ancor oggi si mantiene molto evidente la eclatante differenza numerica di genere a sfavore del maschio. Sfavore nel senso che il maggiore coinvolgimento maschile non può se non essere visto come elemento negativo per questa parte della popolazione. Anche l’iniziazione richiama due punti importanti e caratte- rizzanti: sempre i maschi ad avvicinarsi alla droga più numerosi rispetto alle donne e l’età sempre più giovanile. Se infatti era l’adolescenza con i suoi quattordici \diciotto anni ad essere la più coinvolta, ora sono gli undicenni (i quasi bambini) a voler provare con la famosa “birretta” e, perché no?, lo spinello che “ tanto non fa nulla”. Come mai? La spiegazione dell’abbassamento dell’età per talune esperienze va rintracciata nelle modifiche della realtà culturale e soprattutto di quella familiare. Il maggiore impegno lavorativo esterno della donna alla quale preceden- temente era delegata la politica familiare proprio per quel suo maggior tempo da trascorrere tra le mura domestiche, hanno condotto al doppio fenomeno della casa vuota e dei bambini con “le chiavi in ta- sca”. Fenomeno che per primo era stato osservato in America e fa riferimento, e i lavoratori della scuola lo indicano, come anche ai piccoli siano affidate le chiavi perchè al ritorno si possa rientrare in casa, dove non ci sono mamma e papà ma sicuramente c’è il televisore e il computer ad attendere. Apparecchi di per sè neutri, ma che possono diventare pericolosi nel ruolo di babysitter a tempo pieno, sostitutivi della fondamentale vicinanza dell’adulto nel suo ruolo di guida attenta a partecipe. A questi giovani viene tolto un periodo della vita affidando loro compiti che, per un verso, richiedono responsabilità che danno un falso ruolo di adulto dal quale carpire talune libertà senza avere però la maturità adeguata. Non stupiscono, mentre dovrebbero preoccupare tutto il gruppo sociale, i comportamenti precoci e l’avvicinamento ad esperienze pericolose: l’adulto sembra meravigliarsene senza sentirne la responsabilità. Sino a questo momento, la ricerca indica tale precocità soprattutto tra i maschi. La spiegazione può essere legata a due elementi: una protezione familiare maggiore alle figlie femmine rispetto a quella riservata ai figli maschi , più limitate concessioni ad esse per la partecipazione a taluni eventi sino ad una certa età. Sempre la ricerca sull’atteggiamento dell’adulto nei confronti della tossicodipendenza, mostra la preoccupazione per il rischio prostituzione femminile che la realtà mette in evidenza. Una preoccupazione che attiva maggiori difese.Nel parlare di donne e tossicodipendenza è importante fare una distinzione tra esperienza diretta ed esperienza indiretta. La prima, come già accennato,ha mostrato sino a questo momento, un minore coinvol merico femminile che può trovare spiegazioni in difese conseguenti a fattori educativi dai quali possono derivare scelte di vita sentimentali, di maternità, anche a livello inconscio. Difficili le interpretazin quanto difficile la ricerca in proposito.Evidente, invece, e ben visibile la sofferenza femminileindiretta, ossia quella legata alla maternità.Una sofferenza indicibile davanti alle scelte di droga dei propri figli: percezione di tradimento, sentimenti di pericolo, d’impotenza ne sono i protagonisti. La percezione di tradimento è particolarmente evidente nella donna appena scopre l’esperienza di quel figlio che si è portato nel grembo per nove mesi, al quale ha dato il proprio latte , e guardato con amore e speranza nella vita; tutto ciò per l’assunzione di qualsiasi droga , infatti, è ingannevole la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Esistono sostanze che creano tolleranza, captano l’attenzione, sentimenti e comportamenti e fanno del figlio un estraneo che non si riconosce più. Del quale si ha spesso paura. Dinanzi ai suoi comportamenti magari aggressivi verso persone o cose nasce un sentimento di impotenza, di disfatta generale che si accompagna alla disperazione. Si parla di sentimenti al femminile senza voler sminuire quelli maschili perché nella donna madre hanno una risonanza particolare che ha portato a reazioni esemplari. A ribellioni costruttive per la risoluzione di tanti casi di tossicodipendenza, come tante storie conosciute indicano. Il pensiero va al mondo animale e alle difese materne dei propri cuccioli davanti al pericolo ed espresse con un coraggio senza limiti che nel genere umano sono anche vigile consapevolezza dei risultati da conseguire. La conclusione dell’esperienza vischiosa e  totalmente  coinvolgente della droga è in un alto numero di casi collegabile alla forza materna ed alla sua  continuativa ribellione ad essa. Una ribellione spontanea, supportata continuativamente dall’amore, dall’intuito ed intelligenza indispensabili per riuscire ad averla vinta sulle modalità di vitache instaurano gli effetti della droga su chi si avvicina ad essa restandone prigioniero.

Maria Pia Lai Guaita