Lo sapevamo tutte. E dobbiamo dircelo ogni giorno per frenare la strage

Quest’anno la nostra testata Rivista Donna compie vent’anni. Un magazine ispirato all’ analisi prospettica della realtà dall’angolo visuale femminile ha materiale documentale, e soprattutto un bagaglio empirico scaturito da quattro lustri d’osservazione del cambiamento. Assistere all’irrefrenabile tragedia del femminicidio, in tutto questo tempo, è stato doloroso. Interpretare segni e simboli della strage non è stato immune da momenti di profondo scoramento e commozione invincibile, in numerosi casi. Il senso di impotenza, tuttavia, si è trasformato nel tempo, nella consapevolezza che tutto ciò che possa fare chi scrive, chi fa informazione è certo poco ma può farlo con costanza. Non far calare l’attenzione sulla strage delle nostre donne è il nostro impegno affinché quello che sappiamo tutte non abbia modo di verificarsi ancora. Parlarne, discutere, diffondere un’informazione martellante sul femminicidio è quanto necessario a tentare di sventare ogni minimo rischio. Creare una tendenza all’alfabetizzazione responsabile che esuli dal morboso attaccamento della notizia del day after.

Giulia Tramontano. La ventinovenne agente immobiliare di Senago era in attesa al settimo mese del compagno. Alcuni scatti della quotidianità della vittima.

#losapevamotutte è l’hashtag martellante legato all’ultimo femminicidio in Italia, il ­44º dall’inizio del 2023 in Italia. Di Giulia Tramontano non si avevano notizie dall’ultimo week end di maggio. Dopo diversi giorni la confessione da parte del compagno della giovane donna in attesa da sette mesi di un figlio dall’omicida. Lo sapevamo tutte era il sospetto, legittimamente non espresso fino all’inevitabile, ma dato quasi per scontato. Ciò che colpisce della storia di Giulia è il rapporto di complicità con la ragazza, italo inglese, che scoperta la doppia vita del compagno non ha esitato a porgere una mano d’aiuto alla vittima, quasi nella totale certezza che fosse indispensabile far fronte comune contro una visione del rapporto amoroso che non poteva più definirsi tale. Vent’anni d’osservatorio di RD confermano che l’incontro chiarificatore, ancora una volta, invariabilmente nello scenario di femminicidio, è stato il contesto in cui la furia omicida lucidamente pianificata trova ambiente favorevole.  Nessuno può lanciare accuse infondate finché inquirenti, forze dell’ordine, attività investigative legate alla normativa giuridica italiana abbiamo compiuto il proprio iter, sarebbe l’esprimersi incivile, il desiderio forcaiolo di un responsabile qualsiasi certo non legato alla lucidità d’analisi necessaria al raggiungimento della verità ma la piazza social la sua sentenza pareva averla già emessa. «Lo sapevamo tutti che fosse stato lui», il commento che da ore corre di bacheca in bacheca su ogni social network. Il sospetto nutrito dai precedenti 600 femminicidi in Italia, solo negli ultimi 4 anni.

Il reo confesso Alessandro Impagniatiello. A destra il trentenne compagno della vittima mentre, in una prima fase, si reca dalle forze dell’ordine a dare denuncia della scomparsa di Giulia Tramontano.

I numeri del massacro. Dall’ultima inchiesta del Ministero di Giustizia – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa emergono dati sconfortanti, ma sempre legati a quel comune sentire che livella lo stupore nell’apprendimento dei numeri del massacro. Su 417 sentenze esaminate, 355 sono classificabili come femminicidio, che rappresenta l’85% dei casi. Il femminicidio è certo generato dalla percezione culturale innervata nel contesto ambientale ma non è riconducibile alla componente geografica: «La distribuzione geografica risulta sostanzialmente omogenea nelle diverse zone del paese». Nel 55,8% dei casi tra autore e vittima esiste una relazione sentimentale, in atto al momento dell’omicidio o pregressa. Se a questi si aggiungono i casi in cui tra autore e vittima esisteva una relazione di parentela si scopre che in circa il 75% dei casi le donne muoiono nell’ambito familiare, all’interno cioè di quell’ambiente che teoricamente dovrebbe proteggerle di più. All’interno della classe di omicidi avvenuti tra partner il 63,8% dei casi evidenzia che la vittima e l’autore sono coniugi o conviventi, il 12% fidanzati, il 24% aveva intrattenuto una relazione sentimentale (matrimonio, convivenza o fidanzamento) terminata per vari motivi qualche tempo prima dell’omicidio.

L’ordinamento italiano non prevede l’ipotesi di femminicidio come ipotesi di reato autonoma ma solo come circostanza aggravante. La recente normativa (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119: c.d “legge contro il femminicidio”), che anche porta tra le sue motivazioni quella di rispondere al “susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato”, non definisce la fattispecie di femminicidio, ma disciplina e rafforza l’azione rivolta a contrastare e prevenire la violenza di genere che racchiude al suo interno varie categorie di condotte criminose (oltre all’omicidio i maltrattamenti, lo stalking, le percosse, le lesioni, …) accomunati dal contesto e dal soggetto passivo cui sono diretti. Quanto al femminicidio, che fa proprio (o contiene in sé) il concetto culturale di violenza di genere, è un’espressione che descrive il fenomeno con riferimento alle sue basi empirico-criminologiche, ponendo in risalto la posizione o il ruolo dell’autore.

Nelle ultime ore ha suscitato clamore la titolatura, certamente in buona fede, di uno dei maggiori quotidiani italiani: «Insegniamo alle donne a proteggersi». L’emergenza della strage rivela l’urgenza di un intervento che vada molto a fondo, che l’atteggiamento di protezione sia solamente l’ultima delle misure indispensabili da adottare all’emergere del primo sospetto di pericolo. Che sia un lungo lavoro sul fronte sociale, davanti al quale nessuno possa sottrarsi, è ormai un’evidenza. La nota educativa, in tal senso, che rileva la tragedia della giovane Giulia è che la solidarietà tra le due donne, vittime in modi diversi della logica femminicida, poteva rivelarsi salvifica. L’elemento di fatalità è stato il tempo. E per ciò stesso che dobbiamo giocare su questa componente. Nostra responsabilità di organi di informazione è tenere alta l’attenzione. Perché lo sappiamo tutte e dobbiamo dirlo a voce alta. Ogni giorno, non far calare il sipario.

 

Rivista Donna