Michele Badas ci racconta il suo film “Deu Ci Seu”.

Ho il piacere di incontrare Michele Badas il regista di “Deu Ci Seu”, l’appassionante docufilm racconta non solo lo spareggio del 1997 tra Cagliari di Carletto Mazzone e il Piacenza per restare in serie “A”, ma soprattutto l’esodo di un’intera Isola per sostenere il simbolo di orgoglio e identità del popolo sardo.

La locandina del film.

Michele, come è nata l’idea di un “docufilm” sullo spareggio del 1997 tra il Cagliari e il Piacenza per restare in serie A?

L’idea di partenza è stata di Nicolò Falchi, autore con me e Michele De Murtas del soggetto del film. Lo spareggio del 1997 per noi cagliaritani è un evento storico e dopo vent’anni ogni tanto capitava di parlare con qualche amico che raccontava il suo viaggio in quel lontano 97. Così quando Nicolò ci ha proposto questa cosa ci si sono illuminati subito gli occhi perché sappiamo bene cosa ha rappresentato per noi cagliaritani e per i sardi in generale.

Io, Michele e Nicolò siamo prima di tutto tre amici di vecchia data. Come dicevo Nicolò ha avuto l’idea iniziale poi abbiamo lavorato alla scrittura tutti e tre insieme. Nicolò è anche uno storico dello sport e ha scritto di questioni sportive legate al sociale. Michele De Murtas invece è prima di tutto un musicista e ha anche capitanato il team che ha realizzato la colonna sonora.

Nicolò Falchi, Michele Badas e Michele De Murtas coautori del film.

Quanto avete lavorato?

Questa è la nota dolente. Dall’idea alla realizzazione sono passati circa 7 anni. Ingenuamente abbiamo pensato che sarebbe stato tutto facile ma così non è stato, soprattutto per problemi di Budget. Abbiamo abbandonato il progetto varie volte perché è stato davvero complicato trovare le immagini d’archivio e, per dirla tutta, in pochi credevano realmente in questo progetto. Io avevo proposto il film sia a case di produzione sarde che romane ma inizialmente nessuno ci vedeva delle potenzialità.

Quali ostacoli bisogna superare per realizzare un film in Sardegna?

In effetti non è facile. I fondi per il cinema sono limitati e noi abbiamo fatto un piccolo miracolo perché abbiamo realizzato un film uscito in sala e rimasto in programmazione per quattro settimane con i fondi per un cortometraggio. Essendoci pochi fondi e parecchi autori che vogliono fare cinema, è sempre molto complicato emergere. Poi spesso i film sardi vengono confinati a una distribuzione solo regionale, quasi non facessero parte del cinema italiano.

Si parla di ventimila Sardi, quanto è difficile raccontare l’esodo più importante della storia della Sardegna?

Trovare i reduci e farsi raccontare il loro viaggio è stato facile perché sembrava quasi che tutti i cagliaritani fossero partiti per Napoli. Ogni volta che incontravamo qualcuno che c’era stato sembrava non aspettasse altro di raccontare il proprio viaggio e le avventure che aveva vissuto in quei giorni. Alla luce delle decine di storie dei “reduci”, per mettere insieme tutto il nostro racconto abbiamo avuto l’imbarazzo della scelta e abbiamo dovuto tagliare anche molti episodi per rendere il racconto più scorrevole.

La cosa difficile è stata trovare le immagini d’archivio perché senza le immagini di repertorio a supportare le interviste tutto il film non avrebbe avuto senso. Abbiamo dovuto combattere per anni con alcune televisioni regionali per riuscire ad ottenere le loro immagini d’archivio e ci sono stati momenti in cui stavamo per abbandonare definitivamente il progetto, perché sembrava impossibile avere il materiale.

Dietro questa trasferta c’è una sconfitta, quanto peso ha nel film?

Il film è prima di tutto la storia di una sconfitta. Probabilmente il racconto di una vittoria trionfale non sarebbe stato così interessante e dubito che se quella partita fosse finita in un modo diverso avremmo avuto voglia di raccontarla. Paradossalmente la dignità con cui i nostri protagonisti vivono quella sconfitta, li fa portare ad un’autocoscienza nuova e quindi in un certo modo diventa quasi una cosa positiva. Tutti quelli che hanno partecipato a quel viaggio lo raccontano con orgoglio, addirittura dopo trent’anni qualcuno conserva ancora il biglietto dentro il proprio portafoglio.

Ma quanti anni avevi nel 1997?

Avevo 14 anni. Come molti ragazzi volevo assolutamente partire ma i miei genitori non mi avrebbero mai mandato da solo. Ho fatto di tutto per convincerli e alla fine sono riuscito ad andare facendomi portare da degli amici di famiglia. Avevo già viaggiato prima con i miei ma, nella mia testa, quello è il mio primo vero viaggio.

Su quali ricostruzioni vi siete basati?

Le ricostruzioni sono quelle che ci hanno dato tutte le persone che abbiamo intervistato e che poi sono finite nel documentario. Ovviamente abbiamo visto molto materiale dell’epoca e letto i giornali che raccontavano gli eventi di quei giorni ma alla fine il film è fatto e raccontato dai protagonisti che hanno vissuto quei giorni. Tutte quelle voci diventano quasi un’unica voce narrante.

Dalle testimonianze emerge nitidamente un forte senso di orgoglio nell’aver preso parte, “Io ci sono” si trasforma in “Io c’ero”?

Esattamente. Ci è successo spesso durante la lavorazione del film, di parlare di quello che stavamo progettando e abbiamo sentito tante volte quelle parole, dicevano “Io c’ero” e gli occhi si illuminavano.

Il tuo film fa riflettere su quanto fosse diverso il nostro modo di viaggiare vent’anni fa e su come la condizione di insularità fosse un ostacolo molto difficile da sormontare per i sardi è così?

Si. E’ uno dei temi principali del film. La partita di calcio è un pretesto per raccontare un’isola e tutte le limitazioni che l’essere isolani comporta. Troppe persone dopo aver visto il film si lamentano dicendo che non è cambiato nulla, che dopo trent’anni la questione dei trasporti per noi isolani è ancora tragica. Sono d’accordo con loro.

Nel film si raccontano tifosi fieri di avere partecipato a quell’evento collettivo, come avete fatto a ritrovarli?

Abbiamo iniziato con persone che conoscevamo direttamente come Alessandro “ZengaFarci , e poi abbiamo voluto parlare con qualche giornalista che per lavoro aveva dovuto seguire l’evento. Antonello Lai, ad esempio, è stato disponibile fin da subito e ci ha dato una grossa mano anche condividendo il suo reportage sul viaggio a Napoli, preziosissimo per il nostro film.

Gli altri intervistati li abbiamo trovati con il tempo dopo aver parlato con tante persone. Volevamo avere una tipologia di persone molto variegata.

Il 17  giugno dello scorso anno  “Deu Ci Seu” è stato presentato in anteprima al Biografilm festival di Bologna, riscuotendo un grande successo, te lo aspettavi?

E’ stato molto emozionante perché il film è stato proiettato in uno dei cinema più importanti d’Italia e ovviamente è stato il primo feedback del pubblico. Sentire l’entusiasmo a fine proiezione ti ripaga di tanti sacrifici. Poi nel corso del tempo e dopo l’uscita nelle sale abbiamo avuto solo riscontri entusiastici.

E’ vero che tante persone non avendo nessun legame con il calcio hanno avuto la necessità di vederlo?

Molti ci hanno detto che non volevano vederlo pensando fosse solo un film sul calcio e sono stati quasi obbligati da amici o parenti. A fine proiezione ci hanno detto di essersi commossi e che il film doveva essere mostrato nelle scuole.

Qualche esponente del Cagliari Calcio ha visto il film?

All’ultima proiezione c’era il capitano Leonardo Pavoletti e gli è piaciuto molto. Spero ci sia presto l’occasione di mostrarlo a tutta la squadra.

Michele, nel ringraziarti per questa chiacchierata ti lascio lo spazio per aggiungere un invito a chi non ha ancora visto “Deu Ci Seu”:

Per tutti quelli che vivono a Roma, il 23 aprile faremo una proiezione al cinema Troisi. Tutti gli altri possono controllare le prossime proiezioni sulle nostre pagine social.

                                                                                                       Umberto Buffa                                                                     

 

 

 

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