Ma come ho fatto? Riflessioni sulle dipendenze affettive
Nel titolo ho riportato l’affermazione stupita di molte donne di tutte le età che si chiedono, con aria vagamente smarrita, come abbiano potuto portare avanti una relazione affettiva che ha comportato più sofferenze che gioie. Rivedono il film, rivedono il personaggio, si interrogano stupite e la loro disistima aumenta perché non si danno ragione di quello che, ex post, giudicano come un incomprensibile errore. Eppure all’inizio della storia c’è stato interesse, che è diventato attrazione, che poi si è trasformata in una relazione che è durata mesi, anni, forse tanti anni, dove però le delusioni hanno superato i momenti felici fino al doloroso crack finale. Parlo al femminile in quanto più del 90% dei partecipanti ai miei workshop sull’argomento e più dell’80% dei miei clienti a studio appartengono al gentil sesso, ma non è questa la sede per spiegarne eventuali motivi. Di fronte alle storie che mi narrano, passate o ancora in atto, dico loro sempre che il nostro passato, che sia stato dolce o amaro, per il fatto che lo abbiamo creato con il nostro pensiero e che ci appartiene fino in fondo, merita rispetto. Perché è un passato che non viene dal nulla ma viene dalle nostre esperienze lontane nel tempo e la figura maschile manipolatoria e narcisista che pensiamo ci abbia rubato un pezzo di vita non è altro che un duplicato della prima figura maschile della nostra vita: il papà. Recita un noto aforisma delle nostre Discipline Analogiche:
Morto un Papa se ne fa un altro,
morto un Re se ne fa un altro,
morto un Genitore non se ne fa un altro.
A dire che le parole del genitore, le sue profezie, i suoi comportamenti, il suo essere nei nostri confronti si è stampato con inchiostro indelebile nella nostra psiche e condiziona le nostre scelte a nostra insaputa. E tanto più è vivo il rancore per gli antichi torti subiti, tanto più è forte questo inconsapevole e doloroso plagio. Avevamo bisogno di amore, considerazione, guida, sostegno e invece abbiamo soggettivamente percepito un opposto fatto, a diversi livelli, di anaffettività, rimprovero, diffidenza, distacco, fino al disprezzo. Sono proprio queste giovani anime originariamente deluse le più esposte a legami e relazioni che possono sconfinare in una tossica dipendenza affettiva perché, con incredibile coazione a ripetere, tendono a focalizzare persone evitanti, narcisiste, per definizione prive di empatia, e conseguenti relazioni fondate sul rifiuto, che terminerebbero in fretta, se non ci fosse proprio questo rifiuto a tenerle in vita. Ma la vittima non lo sa e rimane impaniata nella tela del ragno manipolatore che è istintivamente bravo a mettere in campo tutte le sue arti seduttive, quelle che anche lui ha appreso suo malgrado per nascondere agli altri la fragilità del suo Io maltrattato. Lui si comporta così perché sente che la persona che riesce a controllare e a manipolare non gli fa paura!
Purtroppo in lui, e a insaputa della vittima, rivive la figura genitoriale critica e anaffettiva che si va a cercare perché ripropone la sfida salvifica: Io ti cambierò!
Che però significa:
Io ho bisogno di te per salvarmi e valgo solo attraverso te e perché ci sei tu!
Per entrambi i sessi è importante decomprimere i carichi di stress da sentimento e da risentimento a suo tempo compressi e non espressi nelle relazioni conflittuali a volte odiose e disgustose vissute con i genitori conflittuali: diversamente la regia delle nostre scelte non è nelle nostre mani anche se ci illudiamo che lo sia, ma ancora nelle loro. Nei prossimi due workshop di marzo, a Sassari mercoledì 13 e ad Asti mercoledì 20, vorrò andare avanti in questo viaggio analogico affrontando il tema affascinante della manipolazione emotiva e delle dipendenze affettive che tanta felicità sottraggono a persone che invece la meriterebbero appieno!
Ercole Renzi